Psicologia: Ma il tempo libero esiste davvero?

by Claudio Bertole
tempo libero

 

Viviamo dentro un paradosso. Lavoriamo per meno ore alla settimana e abbiamo ampia disponibilità, sia nel lavoro che a casa, di ausili tecnologici che ci consentono di svolgere le nostre attività in meno tempo rispetto a quanto capitava, per esempio, cinquant’ anni fa.

In teoria dovremmo avere molto più “tempo libero”, ma a ben guardare le cose paiono assai diverse. Corriamo come schegge impazzite, presi da mille impegni e arriviamo a fine giornata stanchi, nervosi, inquieti e con un senso di insoddisfazione. E questo tempo “libero” che fine ha fatto?

Prima di tutto occorre considerare che “libero” è un eufemismo, infatti sarebbe più corretto parlare di tempo non utilizzato per il lavoro e per lo svolgimento di quelle attività obbligatorie (ad esempio la gestione della casa, dei figli, ecc.) cui più o meno tutti siamo vincolati.

Questo tempo non utilizzato è spesso impiegato in attività diverse che però non abbiamo scelto noi e che, alla fine, si traducono in una sorta di lavoro ulteriore e aggiuntivo. Molte mamme impiegano il loro “tempo libero” a fare da tassiste ai figli che giocano al pallone, vanno in piscina o a scuola di danza e così via. Da questo punto di vista le donne sono spesso le più svantaggiate, costrette a sacrificare i propri momenti liberi a favore del resto della famiglia.

Sicuramente esistono delle forti differenze fra i sessi, però non è tutto qui. Non dobbiamo dimenticare che il nostro sistema di vita spinge ad una costante iperattività, per cui bisogna sempre fare qualcosa; siamo innanzitutto consumatori e come tali dobbiamo essere perennemente impegnati a spendere denaro e a consumare beni e servizi e questo accomuna tutti, donne, uomini e persino i bambini “consumatori in erba”.

Osserviamo come vivono proprio loro: frequentano la scuola a tempo pieno e subito dopo sono impegnati in attività diverse che, in alcuni casi, includono anche i fine settimana. Quindi i bambini non hanno il tempo per fermarsi mai e tutta la famiglia in conseguenza. E’ una sorta di contagio mentale collettivo, “tutti” svolgono delle attività extrascolastiche e quindi “bisogna” avere, come si dice, “altri interessi”.

Intendiamoci lo sport e le attività ricreative in genere sono sicuramente salutari tanto per il corpo che per la mente, tuttavia anche un po’ di relax, anche qualche momento di quiete non può che giovare. Pare che nessuno ne sia più capace, anzi quasi ci si vergogna di quei rari momenti di “inattività”; ma chi l’ha detto poi che essere inattivi significa davvero perdere tempo e non far nulla?

 

tempo libero

 

Questo nostro modo di vivere ci porta a non essere mai soli con noi stessi, ci toglie ogni possibilità di riflessione e di ascolto del nostro profondo e ci procura uno stress continuo che innesca meccanismi di difesa fisiologici e psicologici che alla lunga si automatizzano, entrando in azione anche quando non ce ne sarebbe motivo.

La presunta inattività può essere un momento di reale ascolto di sé, vera espressione delle istanze più profonde, e ci permetterebbe di riparare i danni di tanto stress e tante costrizioni.

I bambini, in quanto soggetti più deboli, sono le prime vittime di questo stato di cose, divengono inquieti e nervosi e chiedono agli adulti, ai genitori, di accogliere questa loro inquietudine, di placarla in qualche modo.

Gli adulti però portano in sé la medesima sofferenza, tutta la famiglia diventa un centro di tensioni e il tasso di aggressività aumenta. Paghiamo così un prezzo assai elevato per quella falsa onnipotenza che ci è data dalla tecnologia.

Fermarsi qualche minuto a riflettere, ci consentirebbe di scoprire che siamo proprio noi i primi ad assumere più impegni di quanti ne possiamo veramente affrontare. Non è giusto e non è salutare. Come fare dunque per trovare un equilibrio in tutto ciò? Almeno sul versante degli impegni facoltativi dobbiamo imparare a “negoziare”. Cosa vuol dire? Prima di tutto negoziare con le nostre forze e imparare ad ascoltare i nostri segnali di stanchezza; poi ricordare a noi stessi che abbiamo diritto ad un tempo e ad uno spazio “nostri” che vanno difesi; questa difesa va armonizzata con le esigenze di tempo e spazio dei nostri familiari, il che comporta anche la necessità di dire qualche no.

Non è una consapevolezza facile da acquisire, e ancor meno facile è mettere in pratica ciò che ne consegue; si scatenano emozioni forti in tutte le parti coinvolte e ci sentiamo “cattivi”.

Nella seconda parte approfondiremo quest’ ultimo aspetto, evidenziando anche come un cambiamento di atteggiamento, nel modo di vivere il tempo libero, possa avere delle ricadute positive su tutta la famiglia.

 

 

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