In che modo la paura condiziona la nostra vita quotidiana?
Viviamo tempi difficili per quanto riguarda la sicurezza, o meglio, la percezione della sicurezza nella nostra società e, più in generale, c’è un diffuso senso di sfiducia nelle istituzioni e nel futuro. Abbiamo paura.
Siamo biologicamente programmati per provare questo tipo di emozione molto complessa, connotata da aspetti psicologici che riguardano gli “oggetti” delle nostre paure e le conseguenze di queste sulla qualità della nostra vita, e da aspetti fisiologici connessi a tutte quelle reazioni neuro vegetative che ci predispongono ad affrontare al meglio il pericolo.
La capacità di avere paura è dunque, da un punto di vista biologico, utile alla sopravvivenza perché ci permette di mobilizzare tutte le nostre risorse per difenderci. Da un punto di vista psicologico può essere, e vedremo meglio come, fortemente negativa e patologizzante.
Per poter capire meglio è necessario fare una distinzione: in passato i “nemici” erano ben conosciuti e visibili, era relativamente facile lottare e tentare di salvarsi; oggi la situazione è assai diversa. La complessità del nostro mondo ci ha portato alla paura di avere paura: il “nemico” è sempre più indefinibile, invisibile, inafferrabile, spesso è dentro di noi. Sono le “nostre” paure a farci paura, a gettare un’ombra nera su ciò che ci circonda, complice lo sbando della nostra società e delle istituzioni nelle quali non troviamo punti di riferimento né di ancoraggio.
Ma siamo davvero certi che tutto sia così catastrofico? Se decidiamo di dare ascolto all’informazione ufficiale certamente il quadro è sconfortante: corruzione diffusa, pedofilia, violenze, aggressioni, morti sulle strade, vicini di casa che uccidono i loro vicini di casa, tratta di esseri umani, madri che uccidono i propri bambini, padri che sterminano la famiglia, commercio d’organi, criminalità organizzata e così via, ma ciò che genera questo panico esistenziale è un elemento nuovo, ovvero la difficoltà di identificare il “nemico”. Il pedofilo può essere un amico di famiglia, o un familiare; il trafficante di stupefacenti può essere l’ amico d’infanzia dei nostri figli o quel vicino di casa che pare così distinto. Si badi bene, sono pure e semplici esemplificazioni per spiegare questo concetto: in passato il criminale faceva paura ma aveva una sua identità ben precisa, bazzicava certi luoghi, si comportava in un certo modo, era abbastanza identificabile, oggi non più. In quel processo di liquefazione delle identità, dove tutto si mescola e rimescola, si annida il pericolo potenziale: da chi dobbiamo aspettarci del male? Ecco come nasce la paura di avere paura, la paura anticipatoria che scatena angoscia. Vi ricordate avevamo parlato dell’importanza dell’apparire in luogo dell’essere. Ebbene anche il peggiore criminale riesce ad apparire “normale”, “uno qualunque”, “uno di noi” e ci trae in inganno risultando credibile nella sua finzione; ma c’è di più, l’indebolimento della coscienza e del senso di colpa fa sì che queste stesse persone non si percepiscano come criminali e quindi in “buona fede” riescano a sostenere con autenticità il loro ruolo di gente normale, per bene. Sì perché sono ancora convinto che la normalità sia costituita dalla gente per bene, ovvero dalla maggioranza delle persone. Il cardiochirurgo che applica valvole potenzialmente difettose ai pazienti (in cambio di “mazzette”) provocandone la morte, non si percepisce come criminale, quindi non si pente, non prova colpa. Le paure, di tutto questo e in tutto questo si alimentano, crescono, si ingigantiscono e, unite alla diffidenza diffusa, rendono la nostra vita un inferno. A questo punto si manifestano quei processi psicologici, anche patologizzanti, cui accennavo all’inizio e sui quali ci soffermeremo meglio la prossima volta, entrando meglio nelle nostre paure e prospettando strategie per non esserne vittime.
A presto e… scriveteci!