La bellezza e l’anoressia

by Cristina Finazzi

 

 

 

 

 

 

 

La bellezza e l’anoressia: quando il culto di un mito trascende il limite dell’ente.
Esiste la perfezione?
Se esiste, non è di questo mondo. Il Dio di Leibniz ha pensato e creato il migliore mondo possibile, lungi dall’essere realmente perfetto.
Quantomeno la perfezione esiste come concetto, come intelligibile. Tutti gli esseri razionali sanno definire il perfetto, connotandolo di assenza di privazioni, di imperfezioni, di bisogno. Sono perfetto perché completo, perché definito in ogni parte, perché sufficiente a me stesso. 
La perfezione denuncia il limite oltre il quale non si può andare, oltre ad esso c’è il nulla parmenideo. L’essere umano tende per natura alla perfezione anche se questa tensione dura infinitamente e trascende la vita terrena, se si crede possibile un aldilà dove la ricerca del limite da raggiungere che ci qualifichi come perfetti continua. La mente umana formula questo concetto, lo elabora e lo fa suo e poi intraprende delle vie per tentare di realizzare ciò che è per essenza un’utopia.
 La via naturalmente e storicamente  indicata dai filosofi come migliore è la sapienza o ricerca filosofica, che segue questo ragionamento: noi siamo ragione, la conoscenza rende perfetta la ragione, noi diveniamo conoscenza.  Ma, nella società attuale dove la perfezione è maggiormente intesa come estetica e come esteriore, pur partendo da un’analisi e da una ricerca interiore, mentale, la perfezione si deve vedere, si deve misurare e toccare. Ed ecco che l’anoressia da malattia mentale diventa clichè di perfezione e in questo modo viene giustificata come pratica eticamente corretta da chi la applica, da chi ne fa un costume. Nella mente dell’anoressica vi è una profonda analisi del concetto di perfezione che passa dalla presa di coscienza dei propri limiti, delle proprie imperfezioni al tentativo costante di superarli, di renderli nulli, inefficaci. L’anoressica sostiene:” così sono imperfetta però so cosa è il perfetto e lo devo raggiungere a tutti i costi.” Da qui inizia quel processo di nullificazione di sè, che inizia con l’assunzione di cibo sempre in dosi minori fino ad arrivare la digiuno per annullare le proprie imperfezioni e i propri limiti. Mi nullifico, dimagrisco e così tendo a raggiungere e a superare i limiti che la natura del mio corpo mi ha imposto (mangiare una certa quantità di cibo per mantenere un peso costante, cosiddetto normale e sano). Però per l’anoressica quel corpo che per i più appare normale o sano, non lo è, perché rappresenta l’immagine del proprio dissidio interiore fra un io normale e quindi imperfetto e l’io perfetto e quindi annullato in tutte le sue imperfezioni attraverso la pratica dell’anoressia. “Io sono imperfetta, il mio corpo è immagine della mia imperfezione”, che ha un’origine mentale, concettuale : il dissidio fra il se’ perfetto utopico e il se’ imperfetto reale. Attraverso l’annullamento di sé, realizzato della mancanza di assunzione di cibo è come se l’anoressica annullasse a poco a poco tutte le proprie imperfezioni e i propri limiti o difetti eliminandoli fisicamente, tagliandoli dal proprio corpo. Più l’anoressica è magra, più si vede bella e quindi esteticamente perfetta, si sente leggera, i movimenti diventano sempre meno goffi e più fluidi, il corpo a poco a poco annulla tutti i propri bisogni fino a raggiungere il limite ultimo che coincide con la morte. Per l’anoressia, la morte non è negativa, è l’ultima via per la liberazione del sé positivo, perfetto, dal sé negativo imperfetto. L’anoressica però non comprende fino in fondo che la morte è la fine di tutto, di tutto il sé (imperfetto reale e perfetto utopico) dopo la quale resta il nulla.

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