Di Giulia
…….E poi ci sono le modelle di Elena Mirò, sfoderate per l’occasione ogni volta che si parla “donne vere”. Femminone alte, con la vita stretta, il seno grande e sodo, le caviglie sottili, masse lussureggianti di capelli, vestiti a pelle su curve in posti dove alcune donne (sono qui! sono qui!) non hanno nemmeno i posti, invariabilmente ritratte nell’atto di mangiare. Perché queste qui sono donne che si godono la vita, signore mie, mangiano, anzi, sono nobilitate dall’atto della nutrizione. Ogni cucchiaiata di tiramisù contribuisce alla manutenzione del capolavoro che è il loro corpo. Donne vere! Donne reali! Donne simili a noi!
A noi, chi? Perché, perché l’autostima deve essere basata sempre e solo su modelli comparativi?
E poi ci sono le ex anoressiche, con l’aria dei veterani del Vietnam, passate dalla crociata dell’autodistruzione alla Croce Rossa permanente per quelle che non possono o non vogliono vedere la luce. Mute sui loro metodi come spie russe, non svelano le loro armi segrete, i metodi infallibili per non alimentarsi. Le ex anoressiche, quelle croniche, quelle conciate male, che difficilmente avranno mai più un corpo del tutto sano, per quanto possano sforzarsi di accettare l’invasione del nutrimento come il male minore. Quelle che hanno trovato un motivo per vivere che non sia il desiderio di morire.
E poi ci sono i moralisti da salotto televisivo, che quando non sanno cosa fare tirano in ballo le chiappe delle Veline; che sono un altro problema, ma tornano utili perché se non sei parte della soluzione, allora cosa sei? E le Veline non risolvono niente.
E poi ci siamo noi, che ogni volta che capitiamo su un sito pro-ana o pro-mia vorremmo commentare “Morirete tutte, morirete soffrendo, morirete come le cretine che siete, assassine une delle altre fino alla fine dei tempi; a voi i seguaci dei davidiani fanno una pippa, il vostro è un suicidio collettivo che fa pure un po’ schifo, fatto di vomito e diarrea, e voi la chiamate purezza, la chiamate felicità, non ci arriverete mai: sarete sempre a un chilo due tre dalla perfezione che esiste solo nelle vostre testoline bacate” ma è una reazione di stomaco, una reazione sbagliata. Rimane la tristezza.
E poi ci siamo noi, che pensiamo cazzo, postiamo tutti una foto di noi stessi in mutande, uomini e donne, e raccontiamo della nostra vita, di quello che ci rende felici o infelici a prescindere da quanta cellulite abbiamo sulle cosce. Di come siamo amati o odiati e non per il nostro peso. Ci siamo noi, e ci sono loro: e noi ci sentiamo uguali a loro tanto quanto loro si sentono diverse da noi, più pulite, più pure, eteree, formidabili, fortissime. Ci disprezzano, forse ci invidiano, e ci guardano da molto lontano.